Zigulì di Massimiliano Verga è una raccolta di pensieri e immagini quotidiane su che cosa significhi vivere accanto a un disabile grave. E’ uscito per Mondadori nel 2012.
Moreno non vede e non parla
Massimiliano Verga è un docente di Sociologia del Diritto, ha 50 anni, è interista e padre di tre figli; è pieno di capelli quanto di domande, gli occhi che ti trafiggono con la loro ineffabile espressione; non sa nuotare e dichiara di non saper essere padre, in particolare di Moreno, il suo secondo figlio, che nasce sano, poi a tre settimane di vita comincia a stare male, non mangia più, viene ricoverato, trascorre quattro settimane in terapia intensiva, ha le prime crisi convulsive e viene dimesso handicappato. Questo è il termine che Verga usa, diretto, duro: Moreno non vede, non parla, è epilettico e incontinente e suo padre l’avrebbe voluto diverso, non lo considera un dono in quanto disabile e confessa di trovarlo insopportabile, per esempio quando urla per giornate intere; gli capita di dargli delle schiaffi e di non preoccuparsi troppo di come lo veste, così come lo riempie di carezze e si fa leccare o mordere con pazienza.
Il racconto della vita di Massimiliano e Moreno è disseminato in due libri, alcune interviste su YouTube, la sua pagina Facebook, un docufilm diretto Francesco Lagi uscito lo scorso anno… Noi abbiamo scelto di scoprirla attraverso Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile, un po’ perché è proprio la pubblicazione del 2012 quella dalla quale è iniziato il percorso di condivisione, ma soprattutto perché ce l’ha consigliato uno dei nostri direttori di servizi per disabili: a lui il libro è piaciuto “per le ‘parolacce’ coraggiose che spiegano il turbamento di una funzione paterna impossibile”.
Rabbia e amore
Zigulì ha la fisionomia di un taccuino composto da appunti, istantanee e riflessioni più o meno elaborate, a volte poche parole scagliate sulla pagina, in cui Verga prende in giro o ritrae in modo crudo Moreno, con infinito amore e con tanta rabbia, accettando (quasi cercando) il rischio di essere fastidioso e di generarla anche nel lettore, la rabbia. Con grande schiettezza.
Verga ha spiegato di aver scritto la sua storia per “aprire gli occhi” ai lettori non solo sulla disabilità: il suo è un libro sull’attenzione, per provare a discutere sull’“incontro con l’altro” e sulla voglia di entrare in relazioni che richiedono modalità nuove di porsi e cogliersi. Questo il senso più profondo della rappresentazione schietta di una quotidianità fatta di fatica, odori, suoni, urla, aggressività, che polverizza pregiudizi, ipocrisie e tabù, svelando un pezzo di mondo a chi non lo vive, a chi decide di escluderlo dal proprio panorama di conoscenza. Perché oggi lo sguardo che non c’è, l’indifferenza, lo ferisce più di quello che c’è, magari morboso o compassionevole.
Imparare dai propri figli
La riflessione sulla paternità attraversa ogni pagina di Zigulì, con interrogativi sull’identità dell’uomo-padre di un bambino disabile che si smarrisce e finisce per non amarsi più, sulle possibilità che offre il linguaggio del corpo, sull’apprendimento permanente che ogni genitore è chiamato a realizzare, soprattutto di fronte all’enigma della disabilità con forti limitazioni sensoriali. Verga, infatti, è un docente che con i suoi figli si trova più nella postura di chi impara che in quella di chi insegna e, in particolare in Un gettone di libertà: Come ho imparato a essere padre di figli diversi: una storia di amore e di handicap (uscito sempre per Mondadori nel 2014), identifica le lezioni dei suoi figli: Jacopo, preadolescente, gli insegna ad ascoltare; Cosimo, il più piccolo, a ridere e a sorridere; Moreno la sua lingua e il valore dell’attenzione per l’altro.
Una paternità complicata
Numerosi i temi che emergono e riemergono dalla narrazione di una paternità complicata: le frustrazioni inflitte da una burocrazia dimentica delle persone; la questione del futuro, del “dopo di noi”; la presenza della musica che diventa medicina, sollievo e a volte mezzo per misteriosi e meravigliosi contatti; le persone che offrono cura a Moreno, come Antonio, Carla e Francesca, capaci di vedere quello che Moreno impara a fare, cioè ciò che davvero importa. L’impasto denso delle emozioni e dei sentimenti che attraverso padre, figlio e “gli altri” si alimenta di coraggio, paura, fastidio, disagio, indignazione, irritazione, senso di colpa e senso di inadeguatezza, tenerezza e vicinanza interrogante.
E poi c’è l’aggressività: quella del padre, da controllare (anche grazie all’esperienza di scrittura) e quella del figlio, da contenere (con difficoltà fisiche crescenti). C’è la danza triste e incessante delle illusioni e delle delusioni, in un rapporto di amore in cui i protagonisti sono “come due pezzi di calamita”, che “presi per il verso giusto, si attraggono” e “altrimenti nemmeno si sfiorano”. Anche per questo, nonostante (o per) tutto, c’è la speranza.
ULTERIORI RISORSE
A proposito del docufilm tratto da questo libro, leggi la recensione sul Redattore Sociale.
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