PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°8 “Il percorso e l’esperienza di Elena al Castello di Valperga”

Il contesto, il ruolo, un percorso “eccentrico”

Lavoro qui da circa 3 anni. All’inizio è stata dura, ora è bellissimo. Le difficoltà iniziali sono state legate al cambiamento in atto: Anteo aveva appena acquisito la gestione della Struttura, tutto doveva cambiare, non solo formalmente, sul piano delle procedure, ma anche più profondamente; alle persone veniva chiesto di partecipare, non solo di rientrare nei propri ruoli definiti gerarchicamente. Non sono processi facili. Quando sono stata selezionata dalla Direttrice, ho pensato: questa persona è “avanti”. È per questo che mi sono coinvolta nel progetto complessivo.

Faccio la fisioterapista ma non sono “solo” questo. Il mio collega fisioterapista è appassionato di quello che fa. Io ne sono appassionata nella misura in cui questa attività include il rapporto con le persone e quindi anche con se stessi. Non sono interessata alla riabilitazione focalizzata sulla prestazione fisica, magari anche in situazioni in cui serve più per compiacere qualcun altro che non la persona stessa, che magari si sentirebbe più rispettata da un atteggiamento meno “pressante”. Ogni caso e ogni momento sono da valutare nella loro unicità e la fisioterapia non è solo angoli, misure… Se non passa qualcos’altro, si perde il Senso e fare la fisioterapista non è abbastanza.

Sono stata molto colpita dal primo colloquio con Francesca (Francesca Hangler, la Direttrice della Casa di Riposo Castello di Valperga; n.d.r.): per la prima volta mi hanno detto di essere interessati a me anche perché sono insegnante di yoga. Di solito si ragiona per compartimenti chiusi: per questo mi sento a mio agio qui, perché le persone riconoscono anche possibilità ulteriori rispetto alla fisioterapia tradizionalmente intesa.

Facevo la restauratrice. Poi c’è stata la “folgorazione” dello yoga. Ho studiato un metodo molto posturale, “fisico”, il metodo di Iyengar yoga, che si fonda su dati scientifici e clinici sul funzionamento del corpo e si basa su istruzioni continue. Da subito mi ha ricordato molto la danza che praticavo da piccola. Così mi sono detta: non posso smettere di fare questo, lo voglio fare per tutta la vita! Ho seguito un corso per insegnanti di yoga, mi sono diplomata nel 2007 e poi ho iniziato a insegnare. Ho fatto poi un corso di massaggio grazie al quale ho conosciuto un osteopata che mi ha spronata a laurearmi in fisioterapia. E così ho fatto: selezione per l’ingresso a numero chiuso, lezioni, esami, tirocinio… È andato tutto “a sensazione”.

I metodi e gli approcci che affiancano in modi diversi ginnastica e dimensione meditativa comportano un lavoro su quella che si chiama “coscienza”: riconoscere chi o che cosa siamo e riconoscere la realtà attorno a noi. Si può lavorare sui punti di vista, per esempio, per svincolarsi da quelle identificazioni, per esempio in ruoli determinati, che possono farci soffrire. “Sganciarsi” da questi legami consente di stare meglio.

La relazione con gli anziani

Agli Ospiti propongo una ginnastica di gruppo, per 6-10 persone alla volta, con rilassamento psicofisico finale, accompagnato da parole scelte appositamente. Naturalmente, da molti mesi questa attività si è riorganizzata in modo tale da garantire il distanziamento richiesto per garantire la sicurezza degli Ospiti. La ginnastica è improntata alla riabilitazione secondo lo yoga che dà rilievo alla flessibilità della colonna vertebrale e all’apertura del torace, che, contenendo gli organi vitali, tra i quali il cuore che è il centro del nostro essere, rappresenta una parte essenziale per il benessere psicofisico. Per gli anziani è particolarmente importante l’apertura del torace perché li invita a uno stato d’animo antitetico allo stato d’animo depressivo. Se vivo questa condizione e desidero trovare sollievo, posso dialogare con qualcuno, per esempio; oppure posso posizionare un cuscino dietro le scapole per mantenere il torace aperto per una ventina di minuti o comunque per un tempo prolungato: questa accortezza allevia la pressione e stimola l’emozione di gioia associata all’abbraccio, al respiro rilassato dell’abbraccio.

Queste azioni, queste procedure sono semi che cadono su ogni tipo di terreno e possono germogliare oppure no. Il “terreno” è il mondo di ciascuno di noi e ogni anziano, per esempio, ha il proprio; noi ci scandalizziamo, a volte, oppure soffriamo perché il loro è diverso dal nostro. Ma dobbiamo tenere conto di questo: il loro sentire può essere diverso dal nostro.

“L’anziano non esiste”

L’anziano non esiste. Esiste la persona, anzi l’Essere che sta sotto le maschere, i ruoli, e che è gioia, pace, serenità, tutto quello che tutti desideriamo. Questi non sono temi che si affrontano esplicitamente: nella relazione passa ciò che sei. Per questo a me “piace” stare vicino al punto della morte, anche parlarne con gli anziani. Quando un ospite muore piango, certo. Un giorno, per esempio, è morta una signora. Si sentiva che non stava bene. Quel giorno dovevamo pranzare insieme, ma non abbiamo fatto in tempo. L’ho saputo alla mattina, quando sono arrivata. Come tutti, provo emozioni e affetti che sono forme di attaccamento, legate all’illusione che ci sia qualcosa di stabile. Voglio bene agli Ospiti, ai colleghi, a tante persone, ma l’amore possessivo e “condizionato” ci fa dimenticare che tutto è in prestito e allo stesso tempo è tutto eterno. L’età non c’entra niente con quello che sei: tu sei quello che eri a 6 anni e quello che sarai a 90. Alcuni sono stupiti da questi discorsi, ma c’è anche consapevolezza che si tratta di verità. Io non dico molto su questi argomenti, sono temi che spesso vengono fuori nello scherzo del momento: si tratta proprio di vivere l’istante.

In questo contesto, viviamo momenti emotivamente forti, per esempio con i parenti. Perché quando prendi in carico l’anziano prendi in carico l’intera famiglia. È naturale. Ricordo una storia, in particolare. Due figlie erano venute in Struttura per il peggioramento improvviso del padre, che aveva quasi 90 anni; abbiamo pensato di invitarle qui perché c’erano degli accertamenti clinici da condurre, la situazione era delicata ed era importante coinvolgerle. Ho sentito il loro smarrimento e la loro “impreparazione”: quel signore aveva smesso di mangiare, stava bene fisicamente ma rifiutava il cibo, lamentando nausea quando si insisteva. Il suo è stato un modo particolare per andarsene: aveva finito al sua vita. Abbiamo consultato il geriatra, lo psicogeriatra, abbiamo condotto tutte le ricerche che hanno portato a scongiurare la presenza di tumori o altre patologie. Quell’uomo era già in un’altra realtà, mentre le figlie non avevano idea di questa possibilità. Quando è morto, sorrideva. E una figlia, in particolare, l’ha visto, quel sorriso.

Possibilità per il benessere del gruppo di lavoro

Sto proponendo una sperimentazione per i colleghi, un percorso di mindfullness che comporta il raccogliersi, il sentire. Propongo degli esercizi di rilassamento, per portare l’attenzione al sentire e all’interiorità, senza necessità di un vero e proprio programma: si segue un tecnica, certo, ma tutto nasce dal momento, dalla presenza del gruppo. Si tratta di una possibilità per guardare alle tensioni legate ai ruoli professionali in modo diverso: non è fare un massaggio rilassante o andare alla spa. Possono aderire colleghi di tutte le professioni impegnate in Struttura. Questo processo di “risveglio” può avere un impatto clamoroso sull’ambiente di lavoro: il percorso si crea, si costruisce “da solo” e non è qualcosa che “si studia” perché passa attraverso l’esperienza diretta, personale. E si riflette sia sul benessere degli operatori sia, naturalmente, su quello degli Ospiti.

 

di Roberta Invernizzi