La Residenza “Padre Crespi” di Legnano ospita persone con disabilità spesso rilevanti e con un quadro sanitario complesso. È un servizio che tutti i giorni raccoglie sfide importanti e che, in tempo di pandemia, ne ha dovute affrontare anche di nuove: per esempio, la positività al Covid di alcuni Operatori ha richiesto con urgenza la “copertura” di turni di lavoro che non possono certo lasciare margini all’improvvisazione.
La Responsabile della Struttura e la Direzione si attivano: i rinforzi dovranno essere immediati, competenti e motivati. Alla chiamata che circola subito fra i Servizi, in tre rispondono “sì”.
Erica, Educatrice; Naomi, Infermiera; Matteo, OSS. Il drappello parte per un’avventura di una settimana che non sarà priva di sorprese. “Avventura” è “ciò che accadrà”. E il futuro è sempre mistero, per tutti, anche sul lavoro: le tecniche le conosci, le esperienze ti offrono molte risorse, ma ogni contesto è diverso, strutturato su spazi e tempi, routine e consuetudini, tanti, tantissimi dettagli. E soprattutto ogni Ospite è diverso. Per questo ci vogliono uno spirito pronto, uno sguardo attento e mani leste e sicure per fare e fare bene. Mani anche per scrivere e per fotografare, per fermare quei giorni.
Erica e Naomi decidono di raccogliere in un lungo messaggio scritto ad un amico le condivisioni serali, quelle fatte davanti ad un bicchiere di tisana calda, a fine turno……
La paura: di non farcela, di contagiarsi, di non essere all’altezza
Ora che tutto sta finendo posso dirlo, posso raccontare di quel magone che martedì sera mi attanagliava la gola. Prima no, perché prima la sensazione di poter andare in pezzi era troppo forte. Ho detto che ero disponibile, ma quando si è fatto tutto reale sono arrivati loro, i miei soliti demoni, quelli che mi accompagnano da sempre.
Paura, avevo una paura fottuta, di quelle che ti chiudono la gola e senti pulsare i battiti nelle orecchie.
Avevo paura di prendere ‘sto virus, di portarlo a casa. Tantissima paura. Ma avevo anche paura di non farcela, di non essere in grado di rimettere in gioco tutto, la mia professionalità, il mio essere, tutto, di non riuscire ad imparare velocemente il lavoro, di non essere all’altezza.
Una paura da togliere il fiato.
Ho fatto tutto il viaggio di andata così, nel buio, con quella pioggerellina che continuava a scendere, senza saper bene la strada, con quell’ansia appiccicata addosso.
Poi il turbinio ha fatto si che la giornata passasse in un momento. Sono arrivata a sera distrutta, con quel magone fatto di stanchezza e millanta emozioni in circolo.
La paura mi ha accompagnata sempre in questi giorni, ma meno difficile da gestire. Perché poi succede che ti ritrovi attorno ad un tavolo a tarda sera, stanchi da non riuscire a muoversi, le gambe doloranti, ma con ancora il bisogno di condividere.
Raccontarsi, sostenersi, confrontarsi: condividere
Già, condividere, dividere con… strano come tre persone così diverse riescano ad “incontrarsi” così, come se si conoscessero da sempre. A noi, almeno, è successo così, che questa casetta è diventato il nostro rifugio, uno spazio sicuro in cui potersi raccontare. Abbiamo condiviso le nostre storie, come se la scoperta delle affinità potesse alleggerire il carico, perché è così, un peso condiviso pesa la metà.
Una settimana fatta di turni lunghissimi, scontrarsi con le routine che non sono le tue, che possono anche sembrarti sbagliate, ma che in realtà semplicemente non sono le tue e non basterà una settimana a confrontarsi e scoprire il senso di ognuna, però puoi pensare di lasciarti stupire dalla scoperta di modi sconosciuti di far le cose e pensare di potertele portare a casa e farle diventare modalità.
E ci sono state le facce stanche e il passo affaticato delle colleghe, che hanno dato senso a questo nostro essere qui. Per loro, per gli utenti, il nostro venire qui ha avuto senso.
Un’esperienza intensa che nemmeno le parole possono descrivere
Siamo partiti senza aspettarci nulla in cambio, perché è giusto così, ma torniamo a casa con quei “mi spiace che tu te ne vada” che scaldano l’anima, con quel gioco nato in un attimo fatto di “tu come ti chiami?” “e tu come ti chiami”, un sorriso, e “Mario” “Naomi”… Il sentirsi chiamare per nome da metà del primo giorno, e quel “a gennaio ci facciamo il vaccino, così poi ci possiamo abbracciare, così ti abbraccio”. E quel “Erica ma mi vuoi bene te?”
Torniamo stanchi, con le occhiaie, ma sicuramente migliori di quando siamo partiti, con una quantità di tesori tra le mani. Non so se riusciremo mai a rendere l’intensità e la quantità di cose che quest’esperienza è stata. Forse no, forse si può solo viverla e le parole finiscono per non spiegare nulla.
Momenti incredibili che creano legami incredibili
Ci sono due frasi che restano, su tutte:
“Quando ami far da sola, il pensiero che qualcuno possa mancarti a fine esperienza ti spaventa.”
“Se dovessi perdere la memoria, sarò felice di aver scritto questi piccoli pensieri su queste pagine, perché sto vivendo un’esperienza incredibile.”
Siamo pronti a salutarci. O forse no: quello di oggi è un magone diverso, non è più paura, è la malinconia di chi chiude un’esperienza, di chi si saluta. È un magone pieno di “chiamiamoci” e di “appena finisce tutto, dobbiamo assolutamente trovarci a mangiare insieme”…
Ecco: ci abbiamo provato a raccontarvi tutto quel che rischiate di perdere a non dire quel “sì”.
GRAZIE a chi dice “sì”!