Una realtà complessa (multiforme, sfuggente, dai volti e dagli sviluppi difficilmente prevedibili) e complicata (faticosa) che quando riguarda bambini e ragazzi vicini al tuo cuore, perché tuoi figli o anche tuoi “utenti”, possono mettere in crisi le tue certezze: questo sono i disturbi dello spettro autistico.
La diagnosi non è sempre lineare e tempestiva come, invece, aiuterebbe che fosse. Fra ricerca continua di terapie e strategie, il confronto quotidiano delle famiglie con quell’enigma che ciascuna persona con autismo, con la propria “combinazione” unica di caratteristiche, rappresenta è davvero duro.
Lavoriamo ogni giorno per offrire competenze ed esperienze utili a migliorare la qualità della vita di intere famiglie che spesso rischiano di essere invisibili: per questo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Autismo, esprimiamo il nostro incoraggiamento, attraverso la testimonianza di Cristina Ielasi.
Cristina, educatrice professionale e operatrice pet therapy, in Anteo da sette anni, ci racconta di Paolo (nome di fantasia) e della sua famiglia.
La diagnosi della malattia a quattro anni
Paolo ha quattordici anni.
La famiglia ha ricevuto la diagnosi di disturbo dello spettro autistico quando aveva quattro anni.
La mamma di Paolo descrive suo figlio a quattro anni come un bimbo che non era in grado di mantenere il contatto oculare, dimostrava scarso interesse nei confronti del mondo circostante, giocava sempre con gli stessi giocattoli e non accettava che gli venissero proposte nuove attività o nuovi giochi, diventava rigido quando gli veniva richiesto di toccare qualcosa.
Paolo a quattro anni produceva versi e suoni ma non parlava come i suoi compagni di asilo.
Paolo è un bambino diverso.
“Paolo è un bambino che avrà una vita diversa, così come tutti noi familiari avremo una vita diversa da quella che avevamo immaginato”: la mamma usa queste parole
Come sarebbe stata la loro vita? Come avrebbero imparato a capirsi e a comunicare?
La mamma di Paolo racconta la difficoltà e la frustrazione che hanno dovuto affrontare per capire e accettare la diversità del loro bambino.
La paura e la preoccupazione della famiglia di Paolo sono i sentimenti che tante famiglie di bimbi speciali (e non solo) si trovano ad affrontare.
Bisogna imparare a capirsi, a conoscersi e a trovare il modo di comunicare anche con l’aiuto di operatori professionisti come neuropsichiatra, educatori, psicomotricisti e logopedisti.
A sei anni Paolo e la sua famiglia iniziano un percorso con la logopedista e l’educatrice sulla CAA (comunicazione aumentativa alternativa) per ottimizzare le possibilità di interazione e relazione.
La CAA è uno strumento che sostituisce e/o completa e supporta la comunicazione verbale; si tratta di un sistema di disegni (pittogrammi e simboli) che indicano una parola o un elemento della frase; con la CAA si possono produrre veri e propri discorsi e permette una comunicazione dinamica e stimolante sia per chi parla sia per chi ascolta.
Paolo gradualmente, con il supporto dell’ambiente circostante, inizia a comunicare, a dire e a capire a modo suo (come dice la madre).
Un lavoro di squadra per comunicare
Oggi Paolo ha quattordici anni e frequenta il Liceo Scientifico, seguito e supportato da un insegnante di sostegno e un educatore scolastico.
Produce semplici frasi e comprende semplici domande che gli vengono proposte.
Continua a utilizzare la CAA in ambito sia quotidiano che didattico per essere maggiormente agevolato nella comunicazione e relazione.
Il lavoro di rete tra la famiglia e i vari operatori professionisti ha permesso di impostare un lavoro trasversale e condiviso per il suo sviluppo e il suo progetto di vita.
Come dice la mamma di Paolo “Paolo è diverso dagli altri. Il nostro è un viaggio difficile e spesso faticoso ma abbiamo trovato tutti insieme il modo di fare parte della sua vita e lui della nostra.
Siamo una famiglia diversa ma una famiglia che ha imparato a comunicare.”