I malati di Alzheimer in Italia saranno 2 milioni e 300 mila nel 2050, ma c’è un 40 % di speranza. Le riflessioni di una nostra collega in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer.
Chiudi gli occhi
Chiudi gli occhi. Immagina tua mamma o tuo papà in mezzo alla strada, inverno, scalzi, una vestaglia addosso e lo sguardo smarrito. Un passante potrebbe notarli e segnalare quella situazione anomala alle forze dell’ordine, che potrebbero poi telefonarti per dirti che ora sono in pronto soccorso, in lacrime, confusi, impauriti, tornati d’un tratto piccini, in attesa del tuo abbraccio angosciato, il cuore in gola. Immagina il tuo genitore che comincia a nascondere la dentiera fra i cuscini del divano, a fare i suoi bisogni in un angolo della camera da letto, a raccontarti complotti che ordiscono “perfidi” vicini di casa, a insultarti senza alcun appiglio, a cadere come se non avesse più coscienza del proprio corpo. E tu osservi quanto accade con uno sgomento che ti lascia senza fiato e senza parole, ti confronti con il medico di famiglia, chiedi consigli agli amici, cerchi di capire come gestire comportamenti disturbanti (perché eccentrici, fuori controllo, anche pericolosi); cominci a documentarti, a inventarti soluzioni che ti sembrano mettere insieme le esigenze di assistenza e sicurezza e il diritto alla dignità che vuoi salvaguardare con tutto te stesso. Perché l’Alzheimer non è “solo” memoria che evapora. L’Alzheimer è anche questo. A volte, anche all’inizio della patologia, quando hai appena ricevuto una diagnosi che è così difficile digerire.
La casa primo luogo di cura; però…
Complice il PNRR, l’accento sui servizi domiciliari è ormai il leit motiv di tante progettualità: la casa come primo luogo di cura è una sorta di mantra che vuole rivendicare il diritto delle persone fragili, anche dei malati di Alzheimer, di proseguire la loro vita quotidiana nel loro ambiente, fra le mura domestiche, conservando routine, relazioni, scenari spesso intrisi di un’affettività densa.
Complice anche l’esperienza collettiva traumatica della pandemia, le RSA in genere vengono percepite con diffidenza e timore e ancor più di prima i figli che decidono di affidare alle équipe delle residenze sanitarie i loro genitori si trovano a vivere sensi di colpa e a essere stigmatizzati come autori di veri e propri abbandoni, in nome di egoismi o indifferenze inconfessabili.
Eppure i Servizi Domiciliari arrivano fino ad un certo punto: un bagno assistito alla settimana, le medicazioni di un infermiere, gli interventi di riabilitazione di qualche ora effettuati da un fisioterapista, qualche attività di stimolazione a cura di un terapista occupazionale a volte non possono bastare. I Servizi Sociali e le Unità di Valutazione Geriatrica faticano a sostenere i ritmi delle richieste di convenzionamento, lavorano sempre più spesso sulle urgenze, assistono a veri e propri crolli di famiglie intere che implodono o esplodono attorno ad anziani sempre più fragili. Le assistenti familiari arrivano fino ad un certo punto: sollevare una persona che cade anche più volte al giorno diventa impossibile; metterla in sicurezza non è sempre banale, conquistare la fiducia e quindi la collaborazione per l’assunzione delle terapie o la “semplice” consumazione di un pasto a volte è l’esito di un processo lungo, faticoso, frustrante, in particolare per chi non ha una grande esperienza e, come può accadere e non deve scandalizzare, non sente una profonda propensione per il lavoro di cura in contesti così complessi. Anche TU arrivi fino ad un certo punto, perché hai paura di non essere in grado di far quello che serve, ti senti impotente, e perché ti rispecchi nel tuo genitore e alcuni giorni sei quasi travolto dalle emozioni.
Risorse e reti: l’importanza di conoscerle
Ecco quindi l’importanza di conoscere le risorse disponibili, di avvicinarsi alle istituzioni con fiducia, di contattare soggetti professionali affidabili per la ricerca delle figure cui affidare l’assistenza dei propri cari, di cogliere le opportunità che tante realtà associative del territorio offrono, anche per l’orientamento, di costruire reti di prossimità nel quartiere, nel paese in cui si vive. Ed ecco anche l’importanza di valutare tutte le opzioni, soprattutto con il progredire della malattia, come le residenze sanitarie, scegliendo fra quelle che offrono un contesto adeguato all’identità e alla storia del proprio caro (e allora le priorità diventeranno il giardino, la biblioteca, le attività di animazione, la collocazione in campagna o in centro città, ecc.), gestite da organizzazioni autorevoli ed esperte, con équipe animate da una motivazione autentica alla Cura e formate per affrontare anche le situazioni più complesse. Le residenze Anteo sono particolarmente attente proprio a questa dimensione, la personalizzazione dei servizi, l’ascolto dei bisogni ma anche dei desideri degli anziani, per offrire una qualità della vita adeguata e garantire, al contempo, quella sicurezza e quella prontezza di intervento assistenziale e sanitario che non sono praticabili presso il domicilio, soprattutto nelle situazioni in cui le autonomie sono più compromesse. Anche l’impegno di Anteo sul fronte delle attività di contrasto al decadimento cognitivo (come la Palestra della memoria, che gestisce da quasi 10 anni) e nell’ambito dell’individuazione di Assistenti Familiari competenti ed empatiche qualifica l’organizzazione come attenta e tempestiva nell’affiancare sia gli anziani sia i loro familiari.
Numeri che fanno pensare
I numeri non raccontano le storie, ma dicono che le storie sono tante, sempre di più, e che non si possono ignorare. Non foss’altro perché possono riguardare, direttamente o indirettamente, tutti noi. In momenti della vita che non sono prevedibili.
In Italia, il Fondo per l’Alzheimer e le demenze, istituito nel dicembre 2020, ha previsto una dotazione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023: risorse finanziarie che si stanno dimostrando insufficienti. Si prevede che nel 2050 saranno 2 milioni e 300 mila le persone malate di Alzheimer nel nostro Paese. Il 40% dei casi di Alzheimer potrebbero essere ritardati o addirittura evitati agendo sui 12 principali fattori di rischio individuati per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le lesioni cerebrali, la scarsità di frequentazioni sociali, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, scarsi livelli di istruzione, l’inquinamento. Queste sono i numeri diffusi dalla Federazione Alzheimer Italia e da Alzheimer’s Disease International in occasione della dodicesima edizione del “Mese Mondiale dell’Alzheimer”, settembre 2023.
L’ultimo dato, quel 40% così significativo, contiene molta speranza e più di uno stimolo a rileggere il modo in cui stiamo interpretando la nostra esistenza, l’orientamento che imprimiamo ai nostri giorni, il futuro che vogliamo e quello che stiamo realmente predisponendo, attraverso le nostre scelte. Nei limiti, sempre nei limiti di ciò che davvero possiamo influenzare.