Marco Manfredi è uno degli ospiti della casa di riposo di Coggiola, a raccontarci la sua storia è Manuela, animatrice della struttura.
Il signor Marco nasce il 23 febbraio 1933 a Torino, dove trascorre la giovinezza e l’adolescenza. Figlio e nipote di scultori, ha come amici d’infanzia i figli della più cara amica della mamma, Fred e Umberto Buscaglione con i quali condivide la passione per la musica.
Sin da giovanissimo si appassiona alle percussioni e suona la batteria in diverse orchestre. Segue però il consiglio della madre, che lo sprona a coltivare sì la sua passione ma, come gli ripeteva sempre, anche a studiare per garantirsi un futuro stabile avendo ”in mano un mestiere”.
L’infanzia in un momento storico difficile
Marco ha vissuto la Torino dei tempi della Seconda guerra mondiale. Ha visto la sua amata città dilaniata e stravolta dalla guerra. Ha assistito al bombardamento delle Molinette. Ancora oggi resta viva, nei suoi occhi, l’immagine dei camion dei pompieri, colmi di cadaveri portati a tumulare, stipati nei cassoni per evitare che cadessero.
Marco ha sofferto la fame. Una volta, appena dodicenne, si era ritrovato a frugare tra l’immondizia di un albergo del centro dove alloggiavano gli ufficiali dell’esercito, nella speranza di trovare qualche scarto di cibo da mettere in tavola.
La passione per la musica
Marco ha frequentato la scuola di orologeria a Torino; ha poi lavorato presso un’azienda microtecnica specializzata in meccanica di precisione, producendo pezzi per le cabine di pilotaggio degli aerei. Si è sposato e ha avuto un figlio. La sua passione per la musica non lo ha mai abbandonato.
La sua amicizia con i fratelli Buscaglione si è rinsaldata negli anni. Una sera fu invitato a Milano, all’idroscalo, dove i due fratelli si esibivano: accettò con entusiasmo dato che non aveva mai visitato un’altra città che non fosse Torino. Al mattino seguente si ritrovarono nella galleria degli artisti di Milano e mentre conversava con un gruppo di musicisti, vide arrivare a passo spedito Nando (Fred Buscaglione), che gli disse: “vieni che ti presento un tuo quasi omonimo”, e lo accompagnò da Nino Manfredi.
Un giorno di febbraio del 1960 ricevette la notizia della morte del suo amico Fred a seguito di un incidente stradale. La notizia lo segnò molto. Le cose per lui iniziarono a cambiare e decise di accettare l’ingaggio offertogli da un capo orchestra italiano per formare un’orchestra in Svezia.
L’avventura svedese e il ritorno in patria
Il signor Marco, allora ventisettenne, partì in treno da Milano il 15 agosto del 1960 con tutti gli altri elementi dell’orchestra. Quel viaggio doveva portarli a suonare in tutti gli Stads Hotel della Svezia.
Nel suo tempo libero Marco amava navigare nell’arcipelago di Goteborg e osservare i merluzzi messi ad essiccare su enormi treppiedi, tanto grandi da sembrare tetti delle case; oppure passare il tempo con i tanti piemontesi che nel dopoguerra si erano trasferiti in Svezia in cerca di lavoro, creando con tanto sacrificio un futuro sereno per loro e per i loro figli, al club Casa degli italiani di Goteborg.
Faceva rientro in Italia un paio di volte all’anno e proprio durante uno di questi viaggi gli capitò un aneddoto divertente: appena imbarcatosi su un Boeing olandese, si soffermò a guardare dentro la cabina di pilotaggio e siccome, come afferma lui, “ai tempi non c’erano ancora stati attentati terroristici e dirottatori”, la cabina era aperta; spiegò così alla hostess di bordo, che lo stava osservando, che il motivo della sua curiosità risiedeva nel fatto che aveva lavorato presso un’azienda che produceva pezzi per le cabine degli aerei. Dopo circa mezz’ora dal decollo la hostess gli disse che sarebbe stato il benvenuto per accedere alla cabina di pilotaggio. Marco accettò entusiasta l’invito e rimase per buona parte del volo ad osservare e discorrere con i piloti.
In quegli anni Marco ebbe anche esperienze che lo portarono a suonare nelle principali città dell’isola di Cipro, dove conobbe e divenne amico di Gipo Farassino, cantante e musicista piemontese.
Quando decise di smettere di suonare, dopo circa una ventina di anni, iniziò a lavorare per la S.A.A.B. (Svenska Aeroplan Axie Bolag), ai tempi famosa per la produzione di auto e aerei, presso la sala metrologica, ovvero di misurazioni di alta precisione; nel frattempo iniziò anche ad insegnare la lingua italiana nelle scuole comunali, dopo aver ottenuto la certificazione di idoneità all’insegnamento.
All’età di 67 anni tornò a vivere nella sua Piletta, il posto del cuore dove trascorreva le estati da bambino, e quando gli domando il perché di questa decisione, lui mi risponde con il suo accento torinese che non lo ha mai abbandonato negli anni: “Manuela lei sa come fanno i salmoni? Nascono in un punto, viaggiano tutta la vita, poi nuotano controcorrente e tornano a morire dove sono nati: ecco io sono un salmone”
L’anima gentile di un galantuomo
Scrivo del signor Marco perché è veramente un Signore d’altri tempi. In lui risiede, a parer mio, la famosa “antica cortesia”. Quella cortesia animata dal rispetto e da piccoli gesti di una volta, pieni di significato e che oggi stiamo perdendo; ha sempre il cappello in testa, anche all’interno della struttura, e quando lo incontri si ferma e se lo leva prima di iniziare a rivolgerti la parola.
Quando passi nel salone ed è seduto in poltrona fa il cenno di alzarsi ogni volta per salutarti. Non alza mai la voce e parla sempre in modo educato e rispettoso. Conserva in sé una ricchezza inestimabile che dimostra nel suo modo di porsi e nei riguardi che ha verso gli altri; penso che sia qualcosa di ormai raro e che stiamo perdendo. Per questo ho voluto raccontare la sua storia, per provare a farlo rimanere in chi leggerà.
Il prezioso apporto che dona in Casa di Riposo
Il Signor Marco è ospite presso la Casa di Riposo RSA di Coggiola da quasi un anno. Ama chiacchierare e vive gran parte delle sue giornate di ricordi che spesso dona a chi gli sta vicino e lascia un posticino per portare avanti le sue passioni, come quella per il lavoro, sistemando sveglie e orologi in modo ineccepibile; inoltre è impegnato nella “band” interna della struttura nata lo scorso anno, che vede gli ospiti cimentarsi nella riproduzione di alcune canzoni con vari strumenti, tra cui maracas, xilofono, tamburelli, e lui da buon batterista dirige tutti scandendo il giusto ritmo. Ricordo la gioia nei suoi occhi lo scorso Natale quando la band ha realizzato il primo concerto per i bimbi delle scuole elementari del paese con canzoni natalizie: impagabile!
MANUELA BARBIN
Ho iniziato a lavorare per Anteo, presso Casa Serena dal giugno del 2006, mi sono laureata in scienze per il servizio sociale e ho frequentato un corso in tecniche di animazione sociale e un master in mediazione famigliare. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di lavorare in diverse case di riposo come animatore, al centro diurno disabili e nei servizi sociali territoriali come assistente sociale.
Al momento lavoro nelle strutture di Crevacuore, Serravalle Sesia e Coggiola.