#intervistandoanteo n° 3 “Il senso della fisioterapia in RSA”
Il dialogo con Barbara, Fisioterapista da circa 12 anni, si svolge al telefono. Ci sarebbe piaciuto incontrarla “in azione”, sul campo, ma sarà per un’altra volta. Perché Barbara non è in servizio, in questo periodo: è costretta a casa da un infortunio. Si è rotta il legamento crociato anteriore ed è stata operata; è ora al termine della sua convalescenza. E del suo percorso di riabilitazione fisioterapica. “Dall’altra parte” per un po’, insomma. Un’esperienza necessaria, faticosa, forse anche utile non solo fisicamente. Ma di questo ci dirà lei…
La persona con disabilità e l’anziano: due approcci diversi
Ho 34 anni e lavoro in Anteo dall’ottobre 2010: festeggio proprio in queste settimane i primi dieci anni qui! Mi ero laureata da circa un anno e, dopo aver lavorato in una casa di riposo privata, ho cominciato subito in Casa Serena, a Varallo, dove sono ancora oggi. All’inizio, parte del mio tempo era dedicato agli utenti di un Centro Diurno Disabili in Valsesia, poi ho chiesto di essere impiegata in esclusiva a Casa Serena.
Il mondo della RSA mi è piaciuto fin da subito. Non mi spaventava, anche se non lo conoscevo e non ero preparata a gestire le sue particolarità. Quando si studia Fisioterapia, la scuola non forma in modo specifico per questo contesto: i due grandi ambiti di formazione sono quello ortopedico e quello neurologico. In RSA trovi un po’ tutte le casistiche, incontri problematiche sia ortopediche sia neurologiche, in persone anziane. E le esigenze proprie dell’età senile non sono approfondite nel corso di studi. Eppure è uno dei contesti di destinazione più tipici per un Fisioterapista, perché per inserirsi negli ospedali ci sono vincoli legati a concorsi non molto frequenti e non tutti sono interessati ad aprire centri privati o a farvi parte.
Sia i disabili sia gli anziani sono persone fragili ed è importante entrare in punta di piedi in entrambe le relazioni. Ci sono delle differenze, però: il disabile tende a inglobarti nel suo mondo e nel suo problema, tende ad avere un rapporto molto fisico e vuole anche entrare nel tuo mondo; l’anziano, invece, è schivo. Spesso va “conquistato”. Quindi, sono necessari due approcci relazionali diversi, al di là delle tecniche da applicare.
Dopo un primo periodo in entrambe le realtà, ho scelto gli anziani: in particolare dopo le mie due gravidanze, mi sono accorta che vedevo di più le potenzialità degli anziani, vedevo meno i loro limiti. Mi sentivo veicolo di positività più in RSA che altrove. Con gli anziani sento di portare buone cose e ci credo. Per migliorare la loro qualità di vita, per far sì che possano ancora essere utili a se stessi.
Una questione di alleanza
In questi mesi ho dovuto affidarmi a un collega, dopo l’operazione che ho subito. È stato molto difficile, anche perché ero consapevole di quello cui andavo incontro. Ho cambiato punto di vista e sono stata il tipo di paziente che possiamo definire “difficile”… Ma ho anche capito quale potenzialità ha il Fisioterapista per aumentare la fiducia in se stessi quando si è in una condizione di fragilità. Ciascuno deve fare la propria parte per ottenere dei risultati. E ho capito che cosa vuol dire per un paziente fidarsi e affidarsi.
Allo stesso modo, l’anziano in RSA deve avere fiducia in te e capire il tuo ruolo nel suo percorso riabilitativo e di vita. Il Fisioterapista in RSA nella maggior parte dei casi non ha il ruolo di porsi e porre obiettivi a breve termine precisi, come in altri contesti: il suo obiettivo, insieme all’anziano, è quello di mantenere le abilità residue. Un lavoro che si sviluppa nel tempo, un lavoro relazionale, di fiducia: tu ti affidi a me e io affido a te compiti realistici. Non posso dire a un anziano, come a un paziente ortopedico o in ospedale: “quando non ci vediamo, fai dieci ripetizioni di questo esercizio”. Devo fare in modo che, fin dal momento del primo approccio, l’anziano abbia piena fiducia in me perché è totalmente affidato a me: ha capacità residue inferiori a quelle di altri soggetti in altri contesti e su quelle capacità dobbiamo lavorare insieme, con ritmi praticabili. Per questo è importante un percorso continuativo in RSA, anche per l’attività di Fisioterapia.
È sempre necessario fare un patto con il paziente: siamo in due; se le cose vanno bene, è merito di entrambi, se vanno male è “colpa” di entrambi; dobbiamo impegnarci entrambi per avere successo. L’anziano è parte integrante del progetto, non può essere una presenza passiva.
Un nuovo sguardo sul corpo
Casa Serena è una RSA di fondo valle: vediamo ancora degli anziani per i quali una serie di abitudini come lavarsi e vestirsi, nella vita dell’alpe, in luoghi isolati, in contesti di scarsa vita di comunità, sono pratiche non banali. Con loro è molto più difficile parlare di fisioterapia: per loro, il corpo è uno strumento per lavorare. Quando capiscono che non possono più tagliare la legna, spalare la neve o fare fieno sentono che il loro corpo non ha più una utilità. Bisogna far loro capire che sono arrivati a un momento della loro vita in cui al loro corpo hanno già chiesto tanto ed è arrivato il momento di trattarlo bene, muovendosi in maniera più dolce e non finalizzata al lavoro, bensì allo stare bene. Non è sempre facile passare questi concetti, a volte bisogna essere espliciti, concreti: “adesso non serve che tu vada a prendere la legna perché qui l’ambiente è già riscaldato, quindi possiamo fare altro con le braccia e con le gambe”. Bisogna cercare di trovare sempre riferimenti al loro quotidiano, rendere merito a queste persone di quello che hanno fatto fino ad oggi, riconoscere loro che sono riusciti a essere utili a se stessi e che anche ora possono ancora farlo, anzi devono, ma in modo diverso.
Con gli uomini mi riesce più facile strappare un sorriso, con una battuta si scioglie l’ostilità; con le donne oppositive può essere più difficile… allora chiedo aiuto al mio collega maschio! Lavorare in coppia è importante: il 70% degli interventi dobbiamo farli in doppio, per esempio per far deambulare molti anziani, altrimenti potremmo fare solo altri trattamenti, per esempio al letto, ma meno efficienti ed efficaci, anche in relazione alle esigenze che la casa di riposo ha in termini di tempistiche.
Quando sono entrata in Casa Serena, c’erano due colleghi che mi hanno presa per mano: avevano già accumulato esperienza lì, quindi il mio ingresso è stato sereno. Ancora oggi ci riferiamo a quel periodo come alla costruzione di un “nido” in cui siamo cresciuti insieme, sperimentando davvero tantissime cose per gli Ospiti, anche grazie a normative più flessibili. Oggi raccogliamo i frutti di quelle esperienze e proponiamo attività mirate e stimolanti ai nostri Ospiti.
“Far camminare”
Mi è capitato spesso di sentire: “i Fisioterapisti sono quelli che fanno camminare”. Questa frase contiene una grande verità, ma non è esattamente o esclusivamente così. Il fatto che il Fisioterapista porti la persona a cambiare postura è qualcosa di molto importante perché gli anziani passano gran parte del tempo seduti o a letto: verticalizzarli è un obiettivo già molto elevato. Ma c’è molto di più: attraverso il cammino si possono mettere in moto meccanismi cardiocircolatori, aerobici, di fatica, di respiro. Il cammino è l’esercizio più immediato e semplice che si possa proporre a un anziano perché racchiude molti elementi funzionali a un benessere psicofisico complessivo. Ed è su questo che noi lavoriamo, insieme al paziente e insieme a tutta l’équipe. Per esempio proponendo attività sia individuali sia di gruppo.
In punta di piedi
Per guadagnare la fiducia dell’anziano bisogna entrare in punta di piedi nella sua vita, comprendere il suo vissuto e capire che cosa si aspetta dall’esperienza in casa di riposo. Alcuni si sono rotti il femore o un braccio e sono ricoverati temporaneamente perché sono soli o non hanno una rete familiare vicina, che possono seguirli 24 ore su 24; hanno quindi una prospettiva di rientro al domicilio. Altri, invece, spesso per decisioni derivanti dal contesto o famiglie, entrano in struttura un po’ controvoglia, e allora bisogna lavorare un po’ ai fianchi perché il primo atteggiamento può essere di rifiuto o di abbandono. Bisogna far capire che possono fare molto, insieme a noi, che la vita in casa di riposo può essere buona e quindi dobbiamo lavorare insieme sulla qualità della vita, legata al benessere psicofisico al quale la Fisioterapia contribuisce. Bisogna muoversi perché il nostro corpo è fatto per muoversi; quindi, con i loro tempi e i loro modi, il movimento va recuperato e praticato perché non può che fare bene.
A volte un grosso scoglio rispetto alle attese è rappresentato ai familiari. Capita che il presupposto sia: “vai in casa di riposo, fai riabilitazione, torni a camminare e così torni a casa”. In questi casi, fare un buon lavoro può diventare difficile e richiede un dialogo delicato e nello stesso tempo sincero e concreto non solo con l’Ospite, ma con tutta la famiglia.
Si tratta di percorsi ormai istintivi, grazie all’esperienza, ma è sempre importante che lo sguardo del Fisioterapista si basi sulla conoscenza di ciascun paziente nella sua globalità. Alcuni, per esempio, quando proponi le attività, ti dicono “mi sento svenire, mi sento svenire”, ma poi magari ti accorgi che te lo dicono sempre e non corrisponde alla realtà, perché non sentono la motivazione ad attivarsi; allora devi studiare qualche piccola strategia, per esempio per distrarli e renderli più disponibili, senza forzarli bensì incoraggiandoli. C’è chi invece ti chiama e vorrebbe camminare sempre, anche più volte al giorno; e allora, visto che devi dedicarti a tutti e devi anche trasmettere obiettivi riabilitativi realistici e non illusori, devi far capire che si è già fatto “il giusto”, che per ora va bene così.
Momenti gratificanti, momenti difficili
La parte più bella del mio lavoro sono i rapporti umani che si stabiliscono con gli anziani: diventi per loro un punto di riferimento e questo è molto gratificante. Hanno riconoscenza, manifestano l’importanza che hai per loro. Durante il lockdown, quando non potevano vedere i loro cari se non attraverso le videochiamate, questa dimensione è balzata ancor più in primo piano. Poi, impegnati nella pianificazione e nell’organizzazione dei primi incontri con i familiari, abbiamo percepito che siamo il loro collegamento con il mondo esterno, anche di più rispetto ai colleghi OSS, per esempio, che fanno più parte del loro quotidiano. Gli OSS entrano anche in sfere più intime della persona rispetto a noi, ma noi siamo quella figura che va e viene, porta notizie da “fuori”, gira su più piani… Una sorta di ponte, un po’ dentro e un po’ fuori, mentre gli OSS sono sempre dentro, come loro e insieme a loro: è scontato che la mattina arrivi l’OSS per l’igiene, mentre non è così scontato che quella mattina camminerai. Con il Fisioterapista.
Poi ci sono anche i momenti frustranti, perché non sempre riesci a conseguire gli obiettivi che ti prefiggi. Anche perché a volte c‘è poco tempo per lavorarci: l’orologio biologico procede… L’anziano è fragile: dopo pochi giorni di febbre, per esempio, per quanto attivo un paziente fosse prima, può diventare molto passivo. E bisogna ricominciare quasi da capo…
Alcuni non hanno ancora un’età anziana, “da RSA”, ma per vari motivi sono nostri Ospiti. E reagiscono alla situazione in vari modi. Ricordo un uomo che viveva in un’alpe isolata, non voleva avere rapporti con le persone e faceva tutto da solo. Colpito da un ictus che gli aveva causato afasia, ha dovuto chiedere aiuto e appoggiarsi a Casa Serena, provando una profonda frustrazione. Con lui, ho vissuto un insuccesso: ha scelto, infatti, che da quel momento in poi non avrebbe fatto più nulla né per recuperare la parola né per lavorare sulle abilità motorie. Non è stato facile accettare la sua scelta. In struttura, abbiamo una Psicologa molto presente e parliamo di questi casi in équipe, per condividere informazioni e valutazioni e anche per adottare un comportamento univoco. Non riuscendo a parlare, solo attraverso i suoi comportamenti poteva farci capire la sua volontà; abbiamo tentato vari modi, varie strategie per fargli capire che la sua non era la decisione che pensavamo fosse giusta. Ma bisogna anche lasciare andare la presa e rispettare la volontà quando è ferrea e si parla di un soggetto compliante.
Naturalmente questo non vale per tutti i pazienti: nel nostro nucleo “Genziana” si trovano Ospiti con demenza molto grave o malattia di Alzheimer e con loro è necessario fare un lavoro molto più fisico, istintivo, semplificato, per entrare in comunicazione e far passare le intenzioni e le richieste. Per questi anziani il cammino è una parte predominante: lavorare in gruppo è molto difficile perché spesso lo sono le relazioni in generale. Bisogna capire se il paziente è “in giornata” o no: insistere è controproducente, frustrante per tutti.
Il coraggio che deve avere il Fisioterapista in RSA è proprio questo: capire quando è giusto insistere perché c’è solo un po’ di paura, di non voglia di mettersi in gioco o di stanchezza di vivere, e quando invece è meglio dirsi: “oggi con lui, lei o loro lascio stare; oggi è giusto così”. E sentirsi a posto con la propria coscienza.
La mia giornata
Casa Serena è molto grande, ha 200 posti letto. Inizio il servizio alle 8: per 45’ circa prendo visione di quanto è successo in serata e nella notte, se ci sono state cadute, ricovero, rientri dall’ospedale, nuovi ingressi, visite specialistiche per le quali è necessario preparare la documentazione. Gli Ospiti intanto fanno colazione, poi si entra nel vivo del lavoro fisico con i trattamenti individuali; nel frattempo, acquisisco informazioni sul programma del giorno successivo, che organizzi durante l’orario del loro pranzo. Alcune volte, partecipare al momento del pranzo serve per osservare dinamiche preziosi: alcuni anziani possono passare dalla carrozzina alla sedia, verifichiamo l’organizzazione degli spazi e la collocazione degli arredi…
Nel primo pomeriggio, procediamo con i trattamenti a letto e con quelli di gruppo, che a causa dell’emergenza Covid abbiamo dovuto interrompere. La struttura dispone di uno spazio comune molto ampio, in cui è possibile svolgere con agio attività per 30 anziani insieme. Prima dell’emergenza sanitaria, conducevamo attività di gruppo ben strutturate, una ginnastica dolce che coinvolgeva anche il servizio animazione, perché molti Ospiti si trattenevano in sala per condividere una tisana. Con l’emergenza, abbiamo condiviso con la Direzione Sanitaria e la Direzione la decisione di evitare le situazioni di promiscuità, in particolare fra Ospiti che risiedono su più piani.
La “mescolanza” era una scelta volta a stimolare relazioni diverse dal quotidiano confronto con i vicini di camera e a utilizzare il confronto spontaneo fra capacità motorie residue diverse come “molla motivazionale”: chi sta peggio vede chi sta meglio e ne trae fiducia e ottimismo; chi sta meglio dà ancora più valore alla sua condizione ed è spinto a salvaguardarla il più possibile.
Speriamo di riprendere presto, anche se siamo pienamente consapevoli del fatto che i sacrifici fatti erano necessari e hanno contribuito a un grande risultato: Casa Serena è rimasta ancora oggi struttura “Covid free”.
Ho imparato che…
In età preadolescenziale ho portato il busto per correggere una scoliosi e ho sempre avuto problemi di mal di schiena, in particolare mentre affrontavo la maturità. Mio papà è Medico e in quel momento mi ha inviato da un suo amico Fisioterapista per un aiuto. Allora volevo studiare medicina, ho tentato il test. Pensavo anche a Fisioterapia, ma con poca convinzione Poi ho visto in che cosa consisteva il lavoro, molto pratico e fisico ma anche basato su conoscenze teoriche dell’ambito medico. Così, ho trovato in quel percorso formativo un buon equilibrio, adatto a me. Inizialmente, ha deciso la sorte: sono entrata a Fisioterapia e non a Medicina. Poi ho capito che poteva essere la mia strada e non l’avrei più cambiata: ho archiviato subito l’ipotesi di provare a spostarmi su Medicina e ho apprezzato sempre di più l’aspetto pratico e relazionale di questa professione. Sì: questo è il lavoro che fa per me.
È un lavoro delicato. Il Fisioterapista deve varcare la soglia della comfort zone individuale: deve “mettere le mani addosso” alla persona, per usare un’espressione apparentemente sgradevole ma che rende l’idea del fatto che l’intervento fisioterapico può essere vissuto come una forzatura. Non siamo abituati a essere toccati, e soprattutto non lo è l’anziano. Ecco perché la relazione è propedeutica all’attività: con le tue azioni entri necessariamente nella sfera intima della persona.
È un lavoro complesso. E lavorando si apprende. Giorno dopo giorno. Se dovessi sintetizzare il mio apprendimento principale, direi: bisogna sempre crederci fino in fondo. La volontà fa molto e dev’essere condivisa, fra Operatore e Ospite. Il primo a crederci dev’essere proprio il Fisioterapista. Se uno dei due non ci crede, il binomio non funziona. Io, con i nostri anziani, ci credo. Sempre.
Come mi vedi
Ecco una foto di me in divisa. Ho pensato fosse giusto farla così: il tuo corpo in divisa è la prima immagine che il paziente ha di te. La divisa può incutere timore, può essere un ostacolo, ma è anche un elemento che può essere di grande aiuto, perché definisce i ruoli. Dice: “io non sono un’amica ma la tua Fisioterapista”. La divisa ha un suo preciso scopo e ruolo, utile alla relazione e ai risultati del lavoro che facciamo insieme tutti i giorni, il mio paziente e io.