Il 20 novembre è la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. In questa occasione, condividiamo la testimonianza di Giovanna Furcas, Educatrice e Coordinatrice de “Lo Scarabocchio”, Comunità Terapeutica parte integrante del Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza gestita dalla nostra Impresa Sociale.
Aperta nell’anno 1999 prende il suo nome dal “gioco dello scarabocchio (squiggle)”, un metodo che il pediatra e psicoanalista Donald Woods Winnicott utilizzava nelle consultazioni terapeutiche per entrare in contatto con i piccoli pazienti grazie al materiale prodotto nell’atto del giocare nella sovrapposizione delle due aree di gioco, quella del terapeuta e quella del paziente.
“Lo Scarabocchio” accoglie adolescenti di età compresa fra i 12 e i 18 anni in grave difficoltà psicopatologica e che necessitano di un intervento di cura al di fuori dell’ambito familiare essendosi rivelati inadeguati e/o insufficienti i trattamenti terapeutici domiciliari o ospedalieri.
L’esperienza di entrare per la prima volta a “Lo Scarabocchio” non te la dimentichi più. Entri e ti senti osservato.
Occhi incuriositi ti guardano, anticipando le domande che a breve ti faranno: chi sei? perché sei qui? quando torni?
Occhi sfrontati che dicono chiaramente anche se sottovoce: “un altro che viene a dirci cosa dobbiamo fare.”
Ragazze e ragazzi arrabbiati, delusi dal mondo, il mondo degli adulti.
Sono adolescenti affamati, bisognosi di essere visti e ascoltati. Hanno tanto da dire e lo dicono attraverso il loro comportamento: chiudono la bocca e non mangiano, mangiano con gli occhi, mangiano tutto guardandolo e più lo guardano più chiudono la bocca. È fame? Sì, di attenzioni. Queste ragazze pensano che se guariranno nessuno si occuperà più di loro, guarire equivale a sparire dall’attenzione degli adulti e allora è meglio far sparire il corpo, privarlo del cibo, dell’acqua e rischiare la vita.
Ragazze e ragazzi arrabbiati perché ciò che conta è essere performanti, “primi della classe”, emergere dal mucchio. Ma quando tu non sei bravo, non ce la fai e disattendi le aspettative l’unica cosa che pensi ti resti è farti del male: devi tagliarti, devi ferirti, devi rinunciare alla vita.
Ragazze e ragazzi non voluti, adottati, usati nelle liti coniugali, padri con altri figli e madri in carriera… E loro? Loro sono soli.
I ragazzi attirano l’attenzione, picchiano i compagni o si fanno picchiare, fanno la voce grossa e poi fanno pipì a letto; chiedono conforto, chiedono a degli sconosciuti, gli operatori, di non lasciarli soli: hanno paura del buio perché sono ancora piccoli.
Ragazzi e ragazze che ridono e piangono, che si perdono nelle serie TV sognando di far parte di una storia.
Vivono la Comunità con rabbia, ma poi imparano a starci: fanno alleanze, vivono esperienze, s’innamorano, creano un piccolo universo tutto loro dove l’amore e il desiderio non hanno regole, non hanno neanche un genere. Maschio o femmina, che importa? Quando qualcuno ti ama, va bene sempre.
E poi? I drammi, le urla, gli agiti perché un pensiero doloroso attraversa la mente: “non valgo niente!”, “faccio soffrire tutti quelli che mi amano!”.
La malattia non ti abbandona: la malattia ti invalida.
Questi occhi interrogano gli adulti, noi operatori, i curanti, le famiglie, ma noi non sempre sappiamo esattamente cosa rispondere. Noi adulti dobbiamo riflettere, dobbiamo interrogarci su cosa stiamo facendo. È importante chiederselo sempre, è importante fermarsi e ricominciare guardandosi negli occhi, tornare ad essere esempio e guida.
La malattia mentale è un mondo di dolore, i servizi sono oasi dove riprendere fiato, dove fare esperienza, dove ridere ed imparare che chiedere aiuto è da grandi. E noi impariamo a guardare quegli occhi, a riconoscere quella luce di speranza che unisce che sostiene e cura.
Attualmente è aperta una ricerca di personale educativo per “Lo Scarabocchio” trovi tutti i dettagli nella sezione Lavora con Noi del nostro sito.