#intervistandoanteo n°22 ” Mettersi a disposizione e nei panni dell’altro ” Valentina di Gennaro Educatrice Professionale presso CRAP “Iniziativa Vita” di Foggia
Il tempo: la risorsa più preziosa
Ho 33 anni e sono Educatrice da circa 10: mi ero laureata in aprile e a maggio sono stata assunta. Ho cominciato a lavorare presso la CRAP “Nuova Dimensione”, poi sono stata trasferita presso la CRAP “Iniziativa Vita”, dove lavoro da circa sei anni.
Nelle relazioni professionali, mi sento più matura dell’età anagrafica che ho. Abito in un paese piccolo, abbastanza chiuso, e questo tipo di ambiente mi ha resa piuttosto posata, moderata, responsabile. Questa sorta di maturità è diventata un mio tratto caratteriale e trovo sia utile, soprattutto quando ci si trova a lavorare con Ospiti pressoché coetanei: aiuta a stabilire la giusta distanza, che è poi giusta vicinanza, con equilibrio e prudenza.
Ricordo che una mia docente, all’Università, sottolineava spesso: “gli Educatori non fanno le docce, non cucinano!”. Fra i miei compagni di studi, coloro che svolgevano attività di tirocinio o volontariato in strutture per persone con patologie psichiatriche condividevano vari racconti circa le loro attività: facevano disegnare e colorare gli Utente, costruire oggetti… Io sentivo e oggi, a maggior ragione, sento che non è questo quello che serve. O almeno non credo che basti. Le persone che soffrono di patologie spesso invalidanti hanno bisogno soprattutto di tempo dedicato e condiviso, trascorso insieme, fianco a fianco.
Ho svolto il mio tirocinio in SPDC [reparto ospedaliero denominato Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura; n.d.r.]: vedevo i pazienti in fase acuta, senza possibilità di raccogliere e accogliere appieno la loro storia, la relazione era piuttosto ridotta, spesso seguivano terapie farmacologiche importanti, per la fase di malattia che vivevano… Lì il “tempo dedicato” non poteva esserci, per una figura professionale educativa, se non a frammenti…
Stare insieme è terapeutico: magari anche per prendersi cura dell’igiene. Non trovo sminuente che un Ospite mi chieda: “mi aiuti a lavarmi?”. Lo faccio con tutto il cuore perché la sua richiesta è: “ho bisogno di te”. Non molto tempo fa una ragazza di 21 anni, ospite della CRAP, mi ha chiesto di pettinarla con la piastra; l’ho fatto volentieri; lei mi ha ringraziato, poi, esclamando: “che bello quando qualcuno si prende cura di me!”. Questi rimandi sono importanti, non solo perché mi gratificano, ma perché confermano l’obiettivo di benessere complessivo che tutti insieme cerchiamo di realizzare. D’altra parte, “comunità” è una parola che racchiude tutto il senso dell’aiuto reciproco, della condivisione delle esperienze… Altrimenti una struttura come la nostra si dovrebbe chiamare “ospedale”!
Forme e intensità di prossimità emotiva
Sono molte le situazioni che ti coinvolgono, alle quali continui a pensare anche dopo il tuo orario di lavoro. Questo non è un fattore di stress, per me: è senso di familiarità. Spesso noi Operatori siamo per loro la famiglia che non hanno. Sono piuttosto frequenti le situazioni di abbandono. E le esperienze che mi feriscono di più sono le ricadute delle persone che vengono dimesse. Voglio bene, ai nostri Ospiti. Anche quando non lo sono più formalmente.
Ho sempre avuto una sorta di istinto per l’aiuto degli altri. Anche nei confronti di mia sorella, che è Educatrice come me [Carmen Di Gennaro, operativa presso la CRAP “Nuova Dimensione”]. Il mio carattere piuttosto accomodante e paziente mi torna utile, nel lavoro di tutti i giorni: non ho mai avuto scontri con gli Ospiti, anche quando si sono trovati in stato di agitazione; di solito riesco a calmarli, per esempio seguendoli nel loro delirio, sostenendo la situazione per avvicinarmi alla persona senza validarne la posizione. Li comprendo emotivamente e loro lo sentono. Non mi percepiscono come estranea al loro mondo, riescono a esprimersi, a parlarmi, mi sentono in qualche modo simile a loro. E si fidano.
Nel tempo, ho messo a punto delle strategie di avvicinamento anche agli Ospiti “freddi”, quelli che non fanno trapelare emozioni, anche di fronte a eventi “forti”, come lutti, trasferimenti, dimissioni. C’è un lavoro da portare avanti sullo sviluppo dell’affettività, basato sulla fiducia. E i “no” vanno detti nel modo giusto, argomentandoli, per non favorire l’aggressività. Mi è capitato, per esempio, di dover negare sigarette a un Ospite tabagista che me ne chiedeva di notte; gli ho spiegato che se gliele avessi date avrei dimostrato di “volergli male”, cioè il contrario di quello che in realtà è il mio sentire. Non ho mai avuto esperienze negative nelle relazioni con gli Ospiti: ho imparato a sciogliere le crisi attraverso l’esperienza diretta e osservando molto i colleghi.
Strategie e parole
Quando torno dal lavoro sono stanca ma soddisfatta perché ho impiegato il mio tempo per far stare bene delle persone fragili. A volte, la durata del turno non mi basta, perché mi dico: “avrei potuto, avrei voluto, avrei dovuto…”
Credo che fare l’Educatore non sia un mestiere per tutti: significa mettersi a disposizione e nei panni degli altri, studiare modalità per costruire insieme alla persona il suo benessere. Devi trovare sempre forza, coraggio e le parole giuste. Che sono, a volte, di conforto anche per me.