PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°11 “Intervista a Chiara, psicomotricista”

Un lavoro, una passione cresciuta nel tempo

Dopo gli studi in Scienze Politiche, ho lavorato per molti anni nell’ambito della Comunicazione. Poi, le esigenze legate alla gestione dei miei figli mi hanno suggerito altre vie: mi ha sempre appassionata la relazione fra il corpo e la mente, avevo letto molto sul tema, così mi sono accostata ai percorsi per diventare psicomotricista prima e osteopata poi, affascinata proprio dall’orientamento focalizzato sull’unità funzionale della persona che questi approcci propongono.

La relazione che si stabilisce con gli Ospiti è molto sottile. Bisogna destrutturarsi per entrare nel loro mondo, trovare le vie, i canali comunicativi. In particolare quando si verificano agiti aggressivi, è necessario trovare la chiave, capire qual è il modo per entrare in contatto con la persona, per coinvolgerla in un’altra modalità di relazione.
Mi è accaduto di essere un po’ pensierosa, al lavoro: loro se sono accorti subito, hanno colto il mio stato d’animo senza necessità di passare attraverso la parola. Senza domande, senza racconti. Come io li riconosco da come bussano alla mia porta, per esempio. Sono conoscenze intime. Speciali.

Tante storie, tanti semi per il futuro

Ogni Ospite porta con sé una storia diversa, spesso molto articolata. Ve ne racconto alcune.

Francesca, per esempio, una donna poco più che quarantenne, subisce un terribile incidente per il quale trascorre anche un periodo in stato di coma. Al risveglio, non parla più e ha il corpo e l’anima segnati da un politrauma che la porta a una chiusura pressoché assoluta rispetto al mondo circostante. Arriva in Struttura priva di un ausilio che la supporti realmente nelle sue esigenze non solo fisico-funzionali, ma anche relazionali. Il primo intervento incide proprio su questo aspetto: un’attenta consulenza fisiatrica consente di dotarla di una bascula adeguata. F. può ora entrare agevolmente in contatto, oculare e tattile, con gli altri; il suo atteggiamento è cambiato, è meno sulla “difensiva”; il linguaggio del suo sguardo le permette di entrare in relazione con l’altro ed esprimere i suoi stati d’animo.

Tullia ha 45 anni e presenta una sindrome da allettamento che aggrava le difficoltà legate a un diabete severo. Prima del suo ingresso in Struttura, vittima di un profondo disagio sociale, viveva in una camera da letto. Non camminava più. Ora, dopo aver perso peso e aver seguito un percorso personalizzato di fisioterapia e riabilitazione, è tornato a camminare, con l’ausilio di un deambulatore. Il suo obiettivo è tornare a casa per un periodo di uno o due mesi per poi rientrare in RSD, proseguire il progetto e migliorare ulteriormente sul piano del recupero delle autonomie personali.

Affetto dalla sindrome di Down, Angelo aveva subito un brusco decadimento fisico a seguito di un intervento chirurgico. In particolare, non riuscendo più a camminare, aveva finito per chiudersi in se stesso. Dopo un processo di svezzamento alla deambulazione, eseguito con grande cautela e delicatezza, abbiamo constatato con gioia un cambiamento nelle sue modalità relazionali: oggi A. è molto più aperto di prima e ha anche mostrato margini di recupero cognitivo sorprendenti.

Marianna è una donna indurita dalla vita: ha vissuto esperienze molto difficili, in contesti di tossicodipendenza ed emarginazione sociale, e ne porta le tracce, sul corpo come nella mente; tollera molto poco il contatto fisico, a volte reagisce con il turpiloquio al tentativo di dialogo. Con lei forse ancora più che con altri, è stato importante trovare “la chiave” per entrare nel suo mondo: conoscere le sue preferenze, come il piacere di ascoltare musica heavy metal, consente, ogni tanto, di trovare una sorta di “spiraglio”. E il sorriso che si schiude sul suo volto, a conferma dell’incontro, è doppiamente prezioso.

Questa è la magia: a volte, soprattutto nelle fasi di ingresso e osservazione dell’Ospite, ma anche nel tempo successivo di avvicinamento e scoperta, lo “spiraglio” si apre quasi per caso, andando per tentativi, per un gesto, una parola, uno sguardo che fanno breccia, che raggiungono l’altro. Somiglia a una conquista, che può avvenire quasi per caso.

La complessità e il valore del proprio impegno quotidiano

Per stare bene qui, è importante una buona centratura personale, un buon equilibrio nella vita privata, per portare in Struttura uno stato d’animo positivo, per entrare autenticamente in relazione con le persone, Ospiti e Operatori. E poi è necessaria la coesione dell’équipe. Bisogna coltivare le relazioni, meglio se anche fuori dal contesto quotidiano. Ricordo un corso di formazione tenuto dal Dott. Raccagni [Massimo Raccagni, psicologo e psicoterapeuta, Direttore di “Casa di Marina”, struttura residenziale e semiresidenziale per Disabili gestita da Anteo a Cardano al Campo, n.d.r.] che si è protratto per alcuni mesi e ci ha offerto l’occasione di conoscerci meglio; anche la vacanza a Macugnaga, insieme agli Ospiti, ci ha uniti molto.

Siamo chiamati ad essere sempre “in ascolto” per cogliere quali elementi possono generare benessere in ciascun Ospite. Nelle camere di coloro che hanno una disabilità acquisita, per esempio, spesso si vedono fotografie dei loro “prima”: alcuni l’hanno chiesto espressamente, per altri abbiamo verificato che quelle immagini sono fonte di serenità, ricordano momenti lieti, e quindi abbiamo avuto cura di disporle su comodini e pareti.

Non bisogna togliere importanza alle cose che si fanno. La consapevolezza di ciò che facciamo ci rammenta sia il valore sia la responsabilità dei nostri ruoli: il nostro obiettivo comune è fare del deficit una risorsa evolutiva. È importante ricordarlo: per ciascuno di noi e per ciascuno degli Ospiti.

 

di Roberta Invernizzi