PICCOLA NOTA DI METODO

Anteo è l’insieme delle persone che ogni giorno lavorano per far funzionare al meglio i servizi rivolti a persone che vivono varie forme di fragilità. In questo spazio, incontriamo storie, esperienze di lavoro e quindi di vita, che alcuni Colleghi generosamente mettono in comune con tutti noi. Questi testi nascono da interviste condotte secondo una postura narrativa: in primo piano, il sentire dell’intervistato, scelte ed emozioni, episodi significativi, riflessioni dall’interno di un ruolo che è sempre ben più di un abito che avvolge un corpo. Non troverete un’alternanza fra domande e risposte: le domande sono semplici stimoli che si sciolgono nel racconto dell’intervistato, nella compiutezza che esso restituisce. Siamo dunque a leggere le tracce permanenti che ha lasciato ogni incontro di intervista, ogni intreccio di sguardi accaduto in uno spazio e in un tempo definiti.

#intervistandoanteo n°9 “La testimonianza di Elena, Infermiera presso la RSA I Gigli di Candia Lomellina (PV)”

Finalmente Infermiera

Ho 39 anni e da 4 esercito la professione che mi appassiona. Quando sono arrivata in Italia dal mio Paese, la Romania, mi sono dovuta dedicare ad altre attività: ho fatto la colf, l’operaia, quello che mi consentiva di mantenermi. Poi ho sentito il bisogno e il desiderio di vedere riconosciuta la laurea che avevo conseguito messo a malincuore nel cassetto, che non avevo mai potuto utilizzare. E così è stato: ora da circa un anno lavoro presso “I Gigli”, dopo altre esperienze in case di riposo gestite da altri enti.
Questa struttura mi piace molto perché è accogliente, è piccola e mi consente di non “perdere di vista” nessun Ospite: è una specie di casa in cui ci si conosce sempre meglio, con il piacere di condividere le giornate.

La mia scelta professionale era stata guidata dal desiderio di aiutare gli altri, legato anche a perdite importanti che ho subito in età giovanile, e da una figura che credo abbia rappresentato in qualche modo una fonte di ispirazione: ricordo che, quando ero piccola, capitava che venisse a casa nostra un’infermiera per esempio per alcune iniezioni di penicillina, alcune cure per la bronchite. Ricordo che la ammiravo perché intuivo che, anche se mi procurava dolore con l’ago, lo faceva per il mio bene. La sua presenza e i suoi gesti mi emozionavano.

Nella mia infanzia è stata presente anche una signora anziana che ancora ricordo e che in qualche modo credo abbia favorito il mio amore per le persone di una certa età: mi voleva molto bene, abitava vicino a casa mia e quando i miei genitori non mi trovavano, potevano essere certi che fossi proprio da lei! Mi preparava la merenda e mi mostrava oggetti del suo passato, che raccontavano la sua storia… La rivedo in molti Ospiti e provo una tenerezza simile a quella di allora, a quella di me bambina.

Fra distanza e intimità

Condivido con gli Ospiti una quotidianità scandita da pratiche come la rilevazione dei parametri vitali, la somministrazione delle terapie, il supporto ai pasti per chi ha problemi di disfagia. Il lavoro scorre sempre fluido e nessun giorno è mai uguale a un altro. Alcune volte accade di gestire momenti delicati, come eseguire procedure invasive (per esempio, prelievi venosi, posizionamento di catetere vescicale, clisteri evacuativi, ecc.) per Ospiti non collaboranti che, soffrendo di malattie neurodegenerative o di ipoacusia, possono essere disorientati o spaventati. In queste situazioni, è molto importante il supporto dei colleghi, degli OSS in particolare.

Mi piace molto parlare con gli Ospiti. E mi piace molto anche ascoltarli: raccontano volentieri del loro passato, mi mostrano le loro foto, quelle del matrimonio, quelle che li ritraggono da ragazzi… Così si crea una forma di affetto che però mi sento in qualche modo di moderare: la “vicinanza senza misura” può essere fonte di sofferenza e l’intimità eccessiva può non essere davvero desiderata da tutti. Il mio ruolo credo richieda di individuare una “giusta vicinanza”, che può variare da persona a persona e da situazione a situazione: gli Ospiti a volte mi chiamano “gioia”, io a volte, soprattutto all’inizio, do loro del “lei”. Ciascun rapporto si costruisce nel tempo e sulla base delle sensibilità di ognuno, che possono variare nel tempo.

Curare e guarire

Questo lavoro ti pone faccia a faccia con la malattia e con la morte. Lo consiglierei perché ti consente di viere in un mondo in cui si aiuta. Lo svolgo con grande passione, cercando di migliorarmi come professionista e come persona, per esempio attraverso la formazione, ora sempre più spesso on line.

Un argomento che ritengo importante è che a volte si può curare ma non guarire: è un tema che emerge soprattutto nella relazione con gli anziani.

La cura non è solo terapia: ci sono molti gesti quotidiani di cura che hanno un senso e un valore anche a prescindere dall’impatto diretto sulla malattia. Da questo punto di vista, colgo l’importanza del lavoro di tutta l’équipe della casa di riposo, degli OSS, che sono molto presenti, degli Animatori, i Fisioterapisti… In particolare, ho osservato come il fatto che alcuni colleghi siano giovani rappresenti uno stimolo per gli Ospiti per impegnarsi per raggiungere certi traguardi. Come se le loro energie traessero giovamento da quelle delle persone più giovani che si occupano di loro e li motivano a dare il meglio di loro stessi.