I diritti fondamentali dei bambini malati di cancro

Il 15 febbraio si celebra la XIX Giornata mondiale contro il cancro infantile, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da Childhood Cancer International-CCI, una rete globale di 188 associazioni di genitori, con sede in 93 paesi e 5 continenti.
La Giornata fu istituita nel 2002 per sensibilizzare l’opinione pubblica e stimolare il dibattito medico scientifico sul cancro nei bambini e nei ragazzi, nella convinzione che ogni bambino con il cancro meriti la migliore assistenza medica e psicosociale possibile, indipendentemente dal paese di origine, razza, situazione finanziaria o classe sociale.

I sostenitori della giornata credono in alcuni diritti fondamentali dei bambini malati di cancro:

  • Il diritto alla diagnosi precoce e corretta;
  • Il diritto di accedere a medicinali essenziali salvavita;
  • Il diritto a trattamenti medici appropriati e di qualità;
  • Il diritto a seguire le cure, i servizi e le opportunità di sostentamento sostenibile per i sopravvissuti.

Questi diritti, purtroppo, sono privilegio di una minoranza.

Il diritto alle cure e lo stigma dei “sopravvissuti” al tumore

Ogni anno, nel mondo, oltre 300.000 bambini e adolescenti ricevono una diagnosi di tumore. In Italia, circa 2.400. Grazie ai successi terapeutici, nei paesi “ricchi” la percentuale di guarigione si può ottenere in circa l’80% dei casi, ma nei paesi svantaggiati si stima che soltanto il 20% dei bambini abbia la possibilità di una diagnosi tempestiva, accesso a terapie d’eccellenza, continuità delle cure. La maggior parte di loro muore senza alcuna assistenza né controllo del dolore.

Vorrei focalizzare l’attenzione su due aspetti del problema.

Il primo riguarda il diritto alle cure, che non può soggiacere a discriminazioni di alcun tipo: “prima gli italiani” o “prima i ricchi” sono slogan che dovrebbero essere banditi da una società civile.

Il secondo riguarda i “sopravvissuti” al tumore. È vero che un’esperienza di questo tipo può essere paragonabile ad una catastrofe, ma etichettare i guariti come sopravvissuti può rappresentare uno stigma che compromette la completa riabilitazione degli ex-malati.

Anche un grave lutto in famiglia, la frattura di una gamba o la separazione dei genitori potrebbero essere vissuti come cataclisma, ma non ci verrebbe mai in mente di chiamare i bambini che hanno vissuto queste esperienze come dei sopravvissuti.

Un consiglio su cui riflettere

Stare vicini a chi è malato e alla sua famiglia, senza preoccuparsi di quale atteggiamento sia da assumere, è la miglior soluzione che mi sento di proporre a tutti.

 

Professor Mario Clerico
Oncologo, fondatore della struttura di oncologia di Biella.