Uscire dalla Solitudine: un catalogo di storie per esplorare una dimensione universale e multiforme.

In cammino verso la felicità

Tutti siamo alla ricerca di ciò che chiamiamo felicità. Che non è, in alcun caso, una meta puntiforme e puramente individuale: parlare di felicità, infatti, significa parlare di una condizione complessa che include la relazione autentica con l’altro. Sebbene non si debba tacere una grande verità: nei momenti essenziali, come la nascita e la morte, e nell’esperienza delle emozioni, ciascuno di noi è e sarà solo.

Mascherato da semplice manuale di auto aiuto, Uscire dalla solitudine si rivela anche ben altro: l’autrice, psicologa e psicoterapeuta, attinge alla sua esperienza diretta e ci offre un caleidoscopio di vicende esistenziali ed episodi, istantanee e sequenze. Con un linguaggio evocativo e intenso, le storie prendono forma sulla pagina e ci parlano di solitudini plurali; in comune, il disagio e la sofferenza, in diversi gradi, a volte anche a intermittenza, a volte molto ben celati dietro una vita sociale frizzante.

L’importanza della relazione

I fattori che portano alla solitudine sono molti: il timore del giudizio, del rifiuto, dell’abbandono, del tradimento; l’orgoglio, la pigrizia, l’invidia, la timidezza, il narcisismo, l’ossessione del confronto, il mito dell’assoluta autosufficienza. Per questo si schiva l’altro, nonostante, in realtà, se ne senta il bisogno. Il vissuto di chi è solo assume i colori della rabbia, del risentimento, della tristezza e della depressione; della paura che surgela, della sfiducia che rinchiude in se stessi. La costruzione dell’identità personale risulta così deprivata del nutrimento necessario per un equilibrio e una coerenza interna essenziali: la relazione.

Le nuvole

Le nuvole nascondono, fanno ombra; arrivano, transitano e se ne vanno, prima o poi; trasportano presagi di pioggia o neve che non sempre si realizzano, ma intanto impongono, in genere, freddo e buio. L’autrice ricorre spesso a questa metafora per evocare la condizione di solitudine, e le contrappone il gesto coraggioso e fiducioso dal quale nascono le attività di “costruzione di ponti” e “scavalcamento di muri”: ognuno è in grado di giocare questo ruolo con il proprio stile, con il proprio personale atteggiamento sociale.

Il giardino delle amicizie

Un’altra immagine efficace coglie la “biodiversità” che caratterizza le amicizie delle persone che hanno vita relazionale davvero ricca e armoniosa: quella del giardino. In un giardino convivono tanti fiori, tanti tipi di arbusti e alberi, senza gerarchie e (di solito) senza conflitti; allo stesso modo, nella vita di ciascuno possono germogliare e fiorire amicizie che rispondono al bisogno fondamentale di “collegarsi” agli altri, senza per forza dare luogo ad… Amicizie.

Fame di relazioni

Chiaia non si sottrae alle aspettative del lettore e dissemina il libro di spunti e possibili risposte alla fame di relazione che, più o meno consapevolmente, ci attraversa. La curiosità e l’ascolto come chiavi di contatto, esperienze di condivisione anche eccentriche per forzare i confini della propria area di comfort (o pigrizia…); la pratica della meditazione, l’orientamento al “dare” e le mille direzioni dell’associazionismo, la ricerca della “giusta vicinanza” rispetto agli altri, persino il “conflitto creativo”.

Anche i luoghi possono aiutare. L’autrice lo sottolinea, suggerendo una sorta di visione ecologica delle relazioni, che si sviluppano più spontaneamente in spazi accoglienti, che offrono occasioni e abbattono barriere. E anche il web, luogo in senso lato, può consentire reali connessioni (anche se non sempre quanto nel ritratto forse un po’ troppo ottimistico tracciato in queste pagine, scritte 10 anni fa…).

Solitude e loneliness

Certo, esiste anche una solitudine desiderata e goduta, quella della persona in contatto con se stessa, quella della pienezza e della creatività. La lingua inglese identifica bene i due campi semantici, definendo solitude questa solitudine “positiva”, luminosa e libera, e loneliness quella “negativa”, dolorosa e vuota, assimilabile all’isolamento.

Concentrandosi su quest’ultima, Chiaia cita alcuni dati: in USA, una persona su quattro dichiara di non avere nemmeno un amico; in Italia, nel 2008, l’80% di un campione di 1.000 persone dichiarava che la solitudine era per loro un’esperienza frequente. Ricordo questo studio: lo realizzò il sociologo Enrico Finzi per Telefono Amico Italia, in un periodo in cui ero impegnata come volontaria in quell’organizzazione. Avevamo individuato senza difficoltà proprio nella solitudine percepita il focus di ricerca, la condizione trasversale a tutte le persone che chiamavano il servizio, anche a prescindere dai temi esplicitati nel dialogo: noi volontari davamo spazio a tentativi di condivisione e le telefonate diventavano microlaboratori di relazione, alla ricerca di una sorta di “intimità” protetta dall’anonimato e dal non giudizio che praticavamo. Oggi il servizio prosegue e si svolge anche via email e via whatsapp, con notevoli flussi di contatti: la questione, insomma, è rimasta aperta, forse diventando ancor più ampia e complessa.

Vergogna e solitudine

Della solitudine ci si vergogna, come se fosse una malattia o una colpa; si aggiunge, quindi, la fatica di nasconderla, per non mostrare la propria condizione di “squalificati”, inadeguati. Pensiamo ai destinatari dei nostri servizi, gli anziani, i disabili e i loro familiari, le persone afflitte da patologie psichiatriche o da dipendenze, le persone “ai margini”. Quante storie di solitudine, quante lotte al loro fianco e soprattutto la nostra presenza, non solo per assistere ma anche per progettare insieme vie diverse per stare attivamente nel mondo, con gli altri.

Nelle 160 pagine di Uscire dalla solitudine incontriamo (oltre all’autrice stessa) 22 persone, 16 donne e 6 uomini (la solitudine è femmina? O lo è soprattutto la voce che la riconosce e la racconta?). E anche solo per questo, quando chiudiamo il libro, che il nostro vissuto sia episodico oppure cronico, ci sentiamo già un po’ meno soli.

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