Pandemia: riflessioni a margine di un evento che ha sconvolto il mondo.
“Ricordati che devi morire!” grida un monaco del rinascimento a Massimo Troisi nel film Non ci resta che piangere. E lui risponde “Mo’ me lo segno, non ti preoccupare…”. Tutti siamo un po’ Massimo Troisi: sappiamo che morire “ci toccherà”, prima o poi, ma preferiamo non pensarci, fino a quando la vita ci costringerà ad affrontare la nostra finitezza. Ma saremo preparati a quel momento?
Prepararsi alla morte
Nel medioevo era considerato terribile morire senza avere avuto il tempo di prepararsi: la morte improvvisa era temuta come la peste. Erano perfino stati pubblicati dei libri con istruzioni e suggerimenti per prepararsi ad una buona morte, come Ars moriendi o Della preparazione alla morte di Erasmo da Rotterdam. Fino a qualche decennio fa, era normale assistere a domicilio una persona che moriva di vecchiaia, circondata da parenti grandi e piccoli. Era il sogno di tutti: morire a casa, circondati dai propri cari.
La morte come sconfitta
Oggi, invece, la morte, quotidianamente rappresentata nel cinema, è nascosta ed evitata nella vita di tutti i giorni. È vissuta come sconfitta, come evento del quale è meglio non parlare (anche solo per scaramanzia) e tanto meno considerarla materia su cui riflettere per essere preparati quando arriverà il suo momento. Poi, quel momento arriva e ci sconvolge. Come ci hanno sconvolto le tante morti causate dalla pandemia che è piombata nelle nostre vite cambiandole radicalmente.
La pandemia ci ha colti impreparati?
Anche la pandemia è un evento che non avrebbe dovuto coglierci impreparati: da anni se ne parla, esistono protocolli che definiscono le attrezzature necessarie per affrontare il problema adeguatamente, ma ancora una volta si è preferito non pensarci. Si è adottata l’opzione di rimandare il problema “a quando succederà”. Ora è successo. Abbiamo dovuto improvvisamente cambiare le nostre abitudini e i nostri ritmi. Ci siamo resi conto di essere più fragili di quanto pensassimo. Sarà l’occasione per riflettere sui nostri valori, le nostre aspettative e le scelte da fare, oppure torneremo a comportarci come prima, come se nulla fosse?
Le scelte che abbiamo di fronte
Le scelte che abbiamo di fronte saranno conseguenza delle paure e delle priorità. I giovani non sembrano molto preoccupati: hanno bisogno di uscire, di socializzare, di crescere, di crearsi delle prospettive. Oltretutto, al momento, sembrano i meno sensibili alle conseguenze dell’infezione da virus COVID-19. Probabilmente, se fossero loro a decidere, avrebbero già riaperto tutto, comprese le scuole, le prime ad essere state chiuse senza tanti rimorsi. Gli anziani, soprattutto se nelle case di riposo, sono preoccupati: sono i più fragili, ma ancor più bisognosi di affetti e di contatti. Già è duro accettare di concludere la propria esistenza dovendo abbandonare il proprio domicilio, è accettabile adottare il “distanziamento sociale”? Alcuni di loro hanno chiaramente espresso l’idea di preferire meno giorni di vita ma più vita ai giorni da vivere. Poi ci sono i tanti che lavorano e che, a causa della pandemia, hanno visto svanire i loro sogni e le loro aspettative.
Siamo disposti a cambiare?
Quali potranno essere le conseguenze delle scelte fatte fino ad ora per impedire al virus di sconvolgere le nostre esistenze? È giusto concentrarsi esclusivamente sul contagio, mettendo in secondo piano tutti gli altri problemi? Non credo ci sia una risposta univoca a queste domande. Ognuno affronta il problema dal proprio punto di vista. Credo però che le priorità debbano riguardare soprattutto i giovani, che già accusano noi “vecchi” di non avere pensato al loro futuro, trascurando e rovinando l’ambiente. Ci chiedono di cambiare. Siamo disposti a farlo?
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