Il 6 e il 9 agosto 1945, gli Stati Uniti sganciarono due bombe atomiche rispettivamente sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, segnando la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio dell’era nucleare. L’impatto immediato fu devastante: a Hiroshima si stima che circa 70.000 persone morirono istantaneamente, mentre a Nagasaki le vittime immediate furono circa 40.000. Nei mesi e negli anni successivi, il bilancio delle vittime aumentò significativamente a causa delle radiazioni e delle ferite riportate, raggiungendo stime di 140.000 morti a Hiroshima e 74.000 a Nagasaki entro la fine del 1945.

Questi attacchi si inserirono nel contesto della fase finale della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico. Dopo la resa della Germania nazista nel maggio 1945, il Giappone rimaneva l’unica potenza dell’Asse ancora in guerra. Nonostante le crescenti perdite e l’isolamento internazionale, il governo giapponese rifiutava la resa incondizionata richiesta dagli Alleati. In questo scenario, il presidente statunitense Harry Truman autorizzò l’uso delle armi nucleari, una decisione che rimane oggetto di intenso dibattito storico ed etico.

Gli Hibakusha

Il termine “hibakusha” (被爆者), letteralmente “persona colpita dall’esplosione”, si riferisce ai sopravvissuti dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Questa definizione, tuttavia, va oltre il mero aspetto linguistico, incarnando un’identità complessa e carica di significati sociali, politici e psicologici.

Secondo la legge giapponese, lo status di hibakusha è riconosciuto a coloro che rientrano in una delle seguenti categorie: persone che si trovavano nelle città al momento dei bombardamenti; persone che entrarono nelle aree colpite entro due settimane dall’esplosione; individui esposti alle radiazioni durante i soccorsi o lo smaltimento dei cadaveri; e feti in gestazione nelle madri appartenenti a una delle categorie precedenti.

Questo riconoscimento legale comporta l’accesso a benefici sanitari e assistenziali specifici, ma al contempo ha contribuito a definire un gruppo sociale distinto, spesso oggetto di stigmatizzazione e discriminazione.

Conseguenze psicologiche sui sopravvissuti

Le ricerche condotte negli ultimi decenni hanno evidenziato una vasta gamma di conseguenze psicologiche a lungo termine tra gli hibakusha. Uno studio fondamentale in questo campo è quello condotto da Lifton (1967), che ha coniato il termine “morte in vita” per descrivere lo stato psicologico di molti sopravvissuti, caratterizzato da un senso persistente di colpa per essere sopravvissuti, associato a una profonda angoscia esistenziale.

Yamada e Izumi (2002) hanno documentato alti tassi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) tra gli hibakusha, con sintomi che includono flashback intrusivi, incubi ricorrenti e ipervigilanza. La loro ricerca ha evidenziato come questi sintomi persistano anche a distanza di decenni dall’evento traumatico, suggerendo un impatto neurobiologico duraturo dello stress estremo e dell’esposizione alle radiazioni.

Un altro aspetto significativo è stato esplorato da Ohta et al. (2000), che hanno rilevato una maggiore incidenza di depressione e disturbi d’ansia tra gli hibakusha rispetto alla popolazione generale giapponese. Gli autori hanno ipotizzato una connessione tra questi disturbi dell’umore e i cambiamenti neurochimici indotti dalle radiazioni, oltre all’impatto psicologico dell’esperienza traumatica.

Discriminazioni e stigma sociale

Un aspetto cruciale dell’esperienza degli hibakusha, che ha profondamente influenzato il loro benessere psicologico, è la discriminazione sociale che hanno dovuto affrontare. Questa discriminazione si è manifestata in vari ambiti della vita quotidiana, dal lavoro alle relazioni personali, ed è stata alimentata da una combinazione di paura, ignoranza e pregiudizi radicati.

Molti hibakusha hanno riferito difficoltà nel trovare impiego, con datori di lavoro riluttanti ad assumere persone che potrebbero necessitare di cure mediche frequenti o essere percepite come “contaminate”. Questa esclusione dal mercato del lavoro ha avuto un impatto significativo non solo sulla sicurezza economica degli hibakusha, ma anche sulla loro autostima e senso di appartenenza alla società.

Nel contesto delle relazioni personali, numerosi hibakusha hanno sperimentato ostracismo sociale e difficoltà nel formare legami intimi. La paura di trasmettere effetti genetici ai figli ha portato molti a evitare il matrimonio o la procreazione, o a nascondere il proprio status di hibakusha ai potenziali partner. Questo ha contribuito a un senso di isolamento e alienazione, esacerbando i problemi di salute mentale già presenti.

Un aspetto particolarmente doloroso della discriminazione riguarda i bambini nati da genitori hibakusha. Nonostante l’assenza di prove scientifiche di effetti genetici trasmissibili, questi bambini sono stati spesso stigmatizzati, subendo bullismo a scuola e discriminazioni nella vita adulta. Questa “seconda generazione” di vittime ha dovuto affrontare le proprie sfide psicologiche uniche, legate all’eredità del trauma dei genitori e alla discriminazione sociale.

È importante sottolineare che la discriminazione contro gli hibakusha non si è limitata al Giappone. Molti sopravvissuti che sono emigrati in altri paesi hanno riferito esperienze di discriminazione nelle loro nuove comunità, evidenziando la natura globale dello stigma associato all’esposizione alle radiazioni nucleari.

Le autorità giapponesi hanno implementato nel tempo varie misure per contrastare questa discriminazione, incluse campagne educative e leggi anti-discriminazione. Tuttavia, gli atteggiamenti sociali profondamente radicati hanno dimostrato di essere resistenti al cambiamento, e molti hibakusha continuano a sperimentare forme sottili di pregiudizio e esclusione.

L’impatto cumulativo di queste esperienze discriminatorie ha contribuito significativamente al carico psicologico degli hibakusha. La costante necessità di navigare in un ambiente sociale ostile o indifferente ha esacerbato i sintomi di PTSD, depressione e ansia. Inoltre, ha alimentato un senso di alienazione e di “diversità” che ha complicato il processo di guarigione e integrazione sociale.

L’esperienza degli hibakusha di Hiroshima e Nagasaki rappresenta un caso unico di trauma collettivo con ripercussioni psicologiche a lungo termine. Le conseguenze dei bombardamenti atomici vanno ben oltre le immediate devastazioni fisiche, manifestandosi in complesse dinamiche psicosociali che hanno influenzato generazioni di sopravvissuti e i loro discendenti.

La ricerca in questo campo sottolinea l’importanza di un approccio olistico al trattamento e al supporto degli hibakusha, che consideri non solo gli aspetti medici ma anche quelli psicologici e sociali. Inoltre, evidenzia la necessità di politiche pubbliche mirate a combattere la discriminazione e a promuovere una maggiore comprensione e accettazione sociale.

L’esperienza degli hibakusha offre anche importanti lezioni per la gestione di altre forme di trauma collettivo e per la comprensione degli effetti a lungo termine delle armi nucleari sulla salute mentale. In un’epoca in cui la minaccia nucleare rimane presente, la testimonianza degli hibakusha serve come potente monito sulle conseguenze durature e multiformi dell’uso di tali armi.

Per approfondire

  • Yamada, M and Izumi, S (2002) Psychiatric sequelae in atomic bomb survivors in Hiroshima and Nagasaki two decades after the explosions. Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology 37, 409–415 (https://link.springer.com/article/10.1007/s00127-002-0572-5).
  • Ohta, Y, Mine, M, Wakasugi, M, Yoshimine, E, Himuro, Y, Yoneda, M, Yamaguchi, S, Mikita, A and Morikawa, T (2001) Psychological effect of the Nagasaki atomic bombing on survivors after half a century. Psychiatry and Clinical Neurosciences 54, 97–103 (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1046/j.1440-1819.2000.00643.x).