Come Shakespeare può salvarti la vita è un libro di Salvatore Striano. Racconta di come l’autore sia passato da una cella di Rebibbia al palcoscenico dei teatri.

Salvatore Sasà Striano

Mi è accaduto di ascoltare per la prima volta Salvatore Sasà Striano alla presentazione di un libro non suo (era “E tu splendi”, di Giuseppe Catozzella), presso la Casa Circondariale di Novara, insieme a un nutrito pubblico di studenti e insegnantiMi ha immediatamente colpito la sua naturale simpatia, figlia di una semplicità radicale e un po’ ruvida che, quando è autentica, nessun ruolo e nessun rituale culturalmente sovrastrutturale può offuscare.

Da una cella al palcoscenico

La sua storia è di quelle importanti, perché trasmette la forza concretissima che l’ha portato da una cella al palcoscenico dei teatri (e ai set cinematografici e televisivialla pagina dei libri, ai social network, ecc.), testimonianza tridimensionale di ciò che una persona è in grado di fare partendo dalla conoscenza di sé e dal coraggio di diventare ciò che è. Come Shakespeare può salvarti la vita ripercorre questa storia coinvolgente che consiglio, in particolare, a chiunque abbia responsabilità educative. 

L’incontro con “Scemospir“, alias Shakespeare

Siamo a RebibbiaL’incontro con “Scemospir“, come Sasà Striano e gli altri detenuti della Compagnia dei Liberi Artisti Asociali chiamano Shakespeare con diffidenza e sfrontatezza, avviene dopo il loro folgorante innamoramento per Eduardo De Filippo: la Compagnia, “allevata” dal regista Fabio Cavalli, ha appena portato in scena con inimmaginabile successo Napoli milionaria e Striano è stato una Donna Amalia davvero strepitosa. Il figlio di Eduardo, Luca, coinvolto da Cavalliriesce a vincere le resistenze degli attori a cambiare autore per il successivo lavoro affidando loro una “missione culturale” prestigiosa e sfidante: portare in scena per la prima volta la traduzione de La Tempesta di Shakespeare in napoletano del Seicento che proprio Eduardo aveva curato. Shakespeare, che “parla di noi”, che con le sue metafore “ti apre la mente”, che “ti interroga, ti schiaffeggia” e “quasi ti perseguita, con la sua ansia di farti capire”, scopre Sasà. La preparazione dello spettacolo è tutta un’avventura: attraverso il racconto di Sasà/Ariel, osserviamo l’impresa mentre cresce e si costruisce, con fatica e grande impegno, emozioni intense, vecchie e nuove (come la vergogna e il suo superamento)con intenzioni e talenti diversi per ciascun protagonista, in un carcere che sa ascoltare e dare fiducia. 

Teatro come compagno di cella

Sasà, anche grazie alle relazioni che intesse con Cosimo, Don Pasquale, Bennett e Gaetano, proprio nel momento più drammatico della sua detenzioneha scoperto possibilità di esistenza che ignorava e difende con tenacia quella via che lo salva dal rischio di retrocedere in un passato non solo di errori ma anche di sofferenza e frustrazione: il teatro, il primo compagno di cella da quando ero arrivato in Italia [dal carcere di Valdemoro, Madrid, ndr] che non mi faceva sentire in pericolo”; “il teatro è medicina”, dice Striano, e lo sono i libri, tanto che forse, se ci si sveglia un po’ prima al mattino e ci si dedica a qualche prova di lettura, magari poi si fanno meno guai”.  

Il lettore può aspettarsi che la retorica della conversione” si profili all’orizzonte a ogni passaggio, ma rimarrà piacevolmente sorpreso: il messaggio di Striano è diretto e privo di ipocrisie, dotato di una energia innegabile e universale, tanto da mettere perfino in ombra cupi scenari della storia personale dell’autore, pure richiamati con onesta trasparenza. Perché è la sua storia, certo, ma non solo, perché ciascuno ha vissuto colpe e punizioni, tutti ci siamo sentiti imprigionati da qualche circostanza, limitati nell’espressione della nostra identità da muri, timori, giudizi e pregiudizi: Striano “ce l’ha fatta” perché ha riconosciuto e colto l’opportunità che, per fato o destino, gli è stata offerta e ha scelto liberamente e con determinazione di coltivare le sue abilità, di rinascere davvero se stesso. Anche noi siamo chiamati a “farcela”, insieme a ciascun detenuto che, proprio come noi, è persona in cammino, piena zeppa di possibilità e di futuro. 

A proposito dei laboratori teatrali in carcere: 

http://www.teatrocarcere.it/ 

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_0_6.page 

http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/teatro/marci.htm 

http://institucional.us.es/revistas/Culturas/19/Benelli_Caterina.pdf